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Reggia di Venaria

Reggia di Venaria

La reggia di Venaria Reale (in piemontese ël Castel ‘dla Venarìa) è una delle Residenze Sabaude parte del sito seriale UNESCO iscritto alla Lista del Patrimonio dell’umanità dal 1997.

La reggia di Venarìa fu progettata dall’architetto Amedeo di Castellamonte. A commissionarla fu il duca Carlo Emanuele II che intendeva farne la base per le battute di caccia nella brughiera collinare torinese.

Lo stesso nome in lingua latina della reggia, Venatio Regia, viene fatto derivare dal termine reggia venatoria. Al borgo si unirono molte case e palazzi di lavoratori e normali cittadini che vollero abitare nei dintorni della reggia, fino a far diventare Venaria Reale un comune autonomo della provincia di Torino.

La scelta del sito, ai piedi delle Valli di Lanzo, fu favorita dalla vicinanza degli estesi boschi detti del Gran Paese, ricchissimi di selvaggina: un territorio che si estende per un centinaio di chilometri fino alle montagne alpine, giungendo a sud e a est in prossimità del capoluogo.

Nel 2016 ha fatto registrare 1 012 033 visitatori, risultando il settimo sito museale statale italiano più visitato.

Storia

Probabilmente l’idea di creare una reggia a Venaria nacque da Carlo Emanuele II di Savoia dall’esempio del Castello di Mirafiori (o di Miraflores), luogo destinato alla moglie del duca Carlo Emanuele I, Caterina Michela d’Asburgo situato nel quartiere che da quella reggia avrebbe poi preso proprio il nome Mirafiori.

Carlo Emanuele II, volendo anch’egli creare una reggia che si legasse al proprio nome e a quello della consorte, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, comprò i due piccoli villaggi di Altessano Superiore ed Inferiore dalla famiglia di origine milanese Birago, che qui aveva dato vita a importanti piantagioni. Il luogo venne in seguito ribattezzato “la Venaria” perché destinato agli svaghi venatori.

I lavori vennero progettati dal 1658 ed affidati agli architetti Amedeo di Castellamonte e Michelangelo Garove. L’opera si protrasse nel tempo fino almeno al 1675, quando il borgo di Venaria (realizzato con una pianta atta a disegnare un Collare dell’Annunziata) e il Palazzo erano già in buona parte completati. In particolare, la reggia di Diana, cuore della struttura. In ogni caso, i lavori non si fermarono e, anzi, continuarono col tempo: dopo che il 1º ottobre 1693 i francesi distrussero alcune costruzioni, Vittorio Amedeo II commissionò un ulteriore intervento sulla reggia che venne ristrutturata secondo i canoni francesi.

Ulteriori danni vennero inflitti durante l’Assedio di Torino del 1706, quando i francesi di Louis d’Aubusson de la Feuillade vi presero dimora, danneggiando molte strutture destinate, in questo periodo, alla soldataglia: Vittorio Amedeo II, data la morte del Garove, affida il progetto a Filippo Juvarra. Anche nella dominazione napoleonica la reggia subì serie trasformazioni, in particolare i giardini, distrutti per farne una piazza d’armi: l’intero complesso, infatti, venne trasformato in caserma e, con la Restaurazione, questa destinazione fu mantenuta. Il complesso si confermò pure come il centro nevralgico della Cavalleria sabauda, ospitando, tra l’altro, una scuola di equitazione militare di prestigio europeo (in seno alla quale maturarono innovativi metodi di equitazione, di combattimento, di affardellamento) e un allevamento di stalloni. Nel periodo che va dalla fine delle guerre napoleoniche fino al 1978 la reggia fu utilizzata a fini militari causandone un progressivo degrado.

Il restauro

La svolta avvenne nel 1978 quando la reggia venne ceduta alla Soprintendenza per i lavori di restauro. Una vibrante e argomentata esortazione ad avviare senza indugi i necessari radicali restauri del manufatto venne da Federico Zeri che, in una trasmissione televisiva dedicata alla Venaria, mostrò al grande pubblico lo stato di intollerabile degrado in cui versava il sito. Nel 1998 ebbe inizio l’imponente opera di restauro con lo sblocco dei fondi nazionali ed europei. I lavori, pari ad una spesa di oltre 280 milioni di euro, riguardano un’area di 250.000 m² di fabbricati e di 800.000 m² di aree incolte ritrasformate in giardini seguendo i progetti originali. Questi interventi sono stati resi possibili anche grazie ai fondi del Gioco del Lotto, in base a quanto regolato dalla legge 662/96. L’apertura del complesso si è tenuta il 13 ottobre 2007.

Periodicamente sono recuperati e inaugurati nuovi spazi, come le Citronière e le Scuderie aperte al pubblico nel 2009. Nel 2011, in occasione del 150º anniversario dell’unità d’Italia, la reggia e i giardini sono stati sede di mostre ed eventi dedicati alle eccellenze del Paese. La reggia di Venaria è gestita dalla Struttura Flessibile del Complesso della Venaria Reale diretta da Alberto Vanelli. Sempre in un’ala della reggia è stata inaugurata la scuola di restauro della Venaria Reale.

Il complesso

Il complesso è imponente: accedendo dall’entrata principale si viene accolti nella corte d’onore, nel centro della quale sorgeva una fontana detta del cervo, la facciata principale in intonaco con cornucopie conchiglie e frutti risulta sulla parte destra come “sfregiata” da una cesura di mattoni a vista che delimitano la parte seicentesca da quella settecentesca, successiva all’intervento del primo architetto di corte Amedeo di Castellamonte.

La parte sinistra del complesso presenta l’intervento del secondo architetto di corte Michelangelo Garove 1699-1713 in sintesi la realizzazione di due torrioni con tetti detti alla “Mansart” ricoperti di Scandole, mattonelle pentagonali multicolori in ceramica, uniti da una Gran Galleria erroneamente indicata a metà del XX secolo, come quella di Diana. Il pittore Giacomo Casella eseguì col cognato Giovanni Andrea Casella la decorazione pittorica della sala dei templi di Diana: Britomarte consegna un tempio a Diana, degli anni 1660-1663.

Negli interni si trovavano stucchi, statue, dipinti, (secondo il Castellamonte, oltre quattromila quadri), realizzati da valenti artisti, tra cui Vittorio Amedeo Cignaroli, Pietro Domenico Olivero e Bernardino Quadri. Sulle pareti si stagliano raffigurazioni di selvaggina che istituiscono un rimando alla funzione venatoria della struttura. Le decorazioni a stucco spesso sono dovute all’arte dello stuccatore Pietro Somazzi, in ambienti trasformati in epoca successiva, oppure in sale all’interno della reggia di Diana e nei vani di raccordo con il padiglione eretto da Michelangelo Garove, dove si assiste ad un vero e proprio trionfo di abilità esecutiva. Nel 1718 nella Pietro Filippo Somazzi ottenne l’esecuzione degli stucchi della galleria, attenendosi al disegno dell’architetto Filippo Juvarra.

A illustrare il complesso della reggia, esiste un modello estremamente accurato realizzato da Carlo Costantini.

I giardini

I giardini della reggia sono completamente spariti da quando i francesi di Napoleone li trasformarono in piazza d’armi: un’opera estremamente significativa del complesso si perse per sempre. Rimasero i disegni d’epoca, che mostravano lo splendido giardino all’italiana diviso in tre terrazze collegate con scenografiche scalinate e architetture (come la torre dell’orologio del primo cortile) che le collegano: la fontana dell’Ercole, il teatro ad emiciclo e i parterre.

Solo di recente Venaria Reale vede rinascere la sua ambientazione naturale, grazie ai lavori che stanno interessando la struttura (scuderie, reggia di Diana, eccetera). Attualmente sono stati resi fruibili al pubblico i settori già ultimati, oltretutto danneggiati in parte dal violento nubifragio del giugno 2007. Nel Parco Basso sono visibili alcune opere di Giuseppe Penone, in netto contrasto con la struttura barocca del complesso: tra esse, il tronco di un cedro, alto dodici metri, dal quale escono i fumi degli impianti delle centrali termiche della palazzina.

Appena terminata la costruzione dei giardini, un tornado li ha rovinati rimandando così l’inaugurazione a qualche giorno dopo.

Il Centro per la conservazione e il restauro

Nell’area delle ex scuderie, su una superficie di circa 8000 metri quadrati, si trova uno dei principali centri di restauro italiani, costituito da una serie di laboratori dedicati alla diagnostica, al restauro e alla conservazione delle opere d’arte.

La chiesa di Sant’Uberto

Alla morte di Michelangelo Garove avvenuta nel 1713 seguì nel 1716 la ricostruzione per opera di Filippo Juvarra, della Gran Galleria e parallelamente la costruzione della chiesa di Sant’Uberto (1716-1729), incastonata tra i palazzi tanto da non permetterne la costruzione della cupola, che venne affrescata come trompe-l’oeil all’interno, la scuderia e la citroniera 1722-1728, oltre che un rimaneggiamento in stile francese delle facciate.

Gli ultimi lavori furono realizzati tra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento (scuderie e maneggio, scala della reggia di Diana, galleria di Sant’Uberto) dopodiché la reggia fu quasi dimenticata a favore della Palazzina di caccia di Stupinigi (1729), più conforme ai nuovi gusti delle corti europee.

Mostre

Nel 2014 vennero esposte nella Sala delle Arti armature italiane, tedesche, indiane, giapponesi e della tradizione islamica – tra Cinquecento e Ottocento- provenienti dalla collezione del Museo Stibbert di Firenze e qui affiancate all’analoga collezione dell’Armeria Reale di Torino.

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